Al fuoco di bivacco con… Emanuele Locatelli

Il racconto di oggi è rimasto conservato nei nostri archivi per quasi un anno.

Oggi 25 aprile 2020, giornata in cui si celebra la liberazione dal regime fascista ci sembrava la giusta occasione per dar voce ad Emanuele, l’ospite di questo fuoco.

Piccola premessa, abbiamo avuto la fortuna di intervistare Emanuele qualche ora prima della tappa palermitana del suo AR tour siciliano, l’incontro nel quale racconta a gruppi, zone e scuole la storia delle Aquile Randagie.

Emanuele è uno scout, è stato capo reparto nel suo gruppo per 8 anni e custode della Val Codera per oltre 15. Lo abbiamo voluto intervistare non solo per il servizio che svolge magistralmente, ma anche per l’impegno che ha dimostrato nel voler comunicare nell’era digitale la storia di coloro che oggi permettono di indossare l’uniforme. Per oltre tre anni ha curato i social di Ente e Fondazione Baden ( ndr. La Fondazione e l’Ente Baden promuovono lo sviluppo di attività educative e del movimento scout, sul pensiero di don Andrea Ghetti, detto Baden) per poi aprire una propria pagina su Facebook denominata Fedeli e Ribelli. Iniziamo con la nostra chiacchierata, proprio come se fossimo attorno ad un bivacco.

Quando è iniziato il tuo cammino scout? Ricordi la data della tua promessa?

Certo, tutti dovrebbero conoscere e ricordare la data della propria promessa. La mia avvenne il 26 gennaio del 1987 in una cittadina della Brianza chiamata Aicurzio. In realtà avrei dovuto viverla qualche settimana prima durante il campo invernale insieme agli altri piedi teneri del reparto, ma in quell’occasione non avrebbe potuto assistere mia mamma, quindi la posticiparono perché ci teneva particolarmente.

 

 

 

 

 

Io entrai direttamente in reparto e vi dirò di più, feci solo pochi mesi in branca RS per poi uscire.  Fuori conobbi “il mondo”, pur restando attivo in gruppo dando una mano durante le attività estive, rientrai successivamente in coca come capo reparto. Praticamente ho vissuto solo la branca EG, da educando e da capo, finché non ho cominciato il servizio di accoglienza dei clan in Val Codera, comunque mi mancano le basi dell’esperienza e del metodo RS, pur avendo letto e studiato tanto i testi di Baden (nome di caccia di Don Andrea Ghetti) aquila randagia nonché padre del metodo RS Italiano.

L’attuale metodo RS nelle sue anime (strada, comunità e servizio) e nei suoi strumenti (capitolo, carta di clan ecc.) è stato introdotto in Italia da alcuni capi tra cui Baden, che si ispirarono a ciò che avveniva in Francia e in Belgio. Baden Powell ha trattato la proposta per i ragazzi della branca  RS nel suo libro “La strada verso il successo”, libro che ogni rover e scolta dovrebbe leggere anche se non contempla tutto ciò che poi si propone in branca RS, nonostante ne narri i valori.

Quando hai sentito per la prima volta la storia delle Aquile Randagie?

Non riesco ad identificare un momento ben preciso, nel mio gruppo il Cinisello Balsamo 1, si alimentava il loro mito, ma a quei tempi in pochi al di fuori del contesto milanese conoscevano la loro storia. La prima volta che andai in Val Codera fu con i miei genitori nel 1980, avevo sette anni. Per chi non lo sapesse la Val Codera è una valle alpina in provincia di Sondrio al confine con la Svizzera. Io credo sia un luogo unico nel suo genere, perché non so se esiste nel resto del mondo una valle montana interessata da un così intenso traffico di gruppi scout da 80 anni (ndr. quest’anno saranno 81, siamo fiduciosi). La prima salita in Val Codera è stata l’8 e il 9 settembre 1939, anche se fu scoperta qualche anno prima da Gaetano Fracassi, il quale era un’aquila randagia. Lui era un alpinista e rimase folgorato da questo luogo, tanto da decantarlo ai suoi compagni delle AR. Dopo la prima uscita il gruppo se ne innamora, ritenendolo perfetto per le proprie attività clandestine. La Val Codera si prestava bene per diverse ragioni, innanzitutto perché bisognava camminare almeno 4 ore per giungere al pianoro adatto alle attività, inoltre, qualora ci fossero state delle ronde fasciste si sarebbe saputo per tempo, grazie al sostegno degli abitanti della valle. Un’altra ragione che la rende perfetta è che camminando ancora un po’ più in alto si può raggiungere la Svizzera. Passaggio che fu utilizzato anche per salvare diverse persone durante le persecuzioni fasciste. Io ebbi il piacere di vivere ben tre campi estivi da capo reparto su in valle, e ne rimasi folgorato tanto da andarci a vivere per un periodo, ma ci torneremo a breve.

Una delle persone che più si impegnò a creare relazioni in valle fu proprio Baden, che ricordiamo è Don Andrea Ghetti. Pensate che lo chiamavano il “Vescovo di Codera”, si è speso tantissimo per quel luogo. Tanto per fare un esempio… intercendendo presso l’allora presidente del consiglio Giulio Andreotti riuscì a far arrivare a Bresciadega, con elicotteri militari, dei mezzi di lavoro pesanti per realizzare importanti lavori arginatura del torrente che ad ogni esondazione comprometteva seriamente i pascoli.

Baden era anche colui che celebrava la Messa di Natale a Codera quando il sacerdote non c’era più a seguito della grande migrazione avvenuta negli anni ’60. Quando saliva, portava con sé gli scouts del suo gruppo, il Milano 1. Suo fratello Vittorio Ghetti, scrive che quando ciò accadeva il paese di Codera si animava improvvisamente, tutti si adoperavano per accoglierlo.

Nel 1980 Baden muore durante una route con i suoi ragazzi e per alcuni anni non verrà più celebrata la S. Messa di Natale per quei pochi abitanti della valle che risiedevano lì anche durante l’inverno. Solo sette anni dopo suo fratello Vittorio si attiva per far rivivere questa tradizione e riportare la celebrazione su in valle. Lo fa portando con sé un piccolo gruppo composto dal sacerdote, Don Galli, Alessandro Viagnoni capo clan del Milano 1, mio papà, mia mamma e mio fratello. Io all’epoca avevo tredici anni e ricordo che siamo saliti di notte per celebrare la Messa nella mitica “osteria del Baffo” a Codera insieme a circa 15 abitanti. Durante la celebrazione svolsi il servizio di chirichetto in uniforme.

Nella mia storia quindi c’è anche questo, seppur inconsapevolmente all’epoca. Aggiungete poi i tre campi estivi e capirete perché mi sono innamorato della loro storia.

È stata talmente incisiva come storia, che al termine del mio servizio associativo decisi di prendere un periodo sabbatico da vivere in Val Codera. Così nell’inverno del 2002 partii per quattro mesi in “ritiro meditativo” su in valle.

Ho trovato una casetta piccola e poverissima. Non c’era neppure l’acqua dentro, bisognava prenderla alla fontana fuori, era proprio quello che cercavo, anche perché non vi nascondo che mi ha sempre affascinato la vita monastica. In quel contesto feci portare su un carico di cibo che sarebbe dovuto bastare per i mesi successivi, in elicottero. Vi ricordo che su in valle si arriva solo a piedi e non ci sono strade carrozzabili. Oltre al cibo portai su assi di legno per costruire mobili spartani, nonché numerosi libri. In tutto ciò, avevo con me anche un computer e una stampante per poter scrivere.

Mi imposi per quei giorni una rigida disciplina che definirei quasi monacale. La giornata iniziava alle ore 5.30 con 45 minuti di lodi e lettura della Bibbia, poi 15 minuti degli esercizi di BP ( ndr. trovate un approfondimento nella rubrica #SeF sul nostro sito) , la colazione e dalle 7 alle 11.00 svolgevo alcuni servizi per la gente di Codera e l’associazione Amici Val Codera (trasporto legna, vangatura di campi, concimazione… ecc) quindi mi dedicavo alla scrittura. Nei weekend scendevo a Novate per la Messa (generalmente il sabato sera, per fare anche la spesa),  poi davo una mano agli amici della Locanda e quando capitava facevo una sorta di accoglienza ai gruppi che salivano in valle e pernottavano all’oratorio (che allora era ancora riservato agli scout, prima di essere chiuso, l’anno successivo). Ogni tanto salivano a trovarmi gli amici e i genitori.

Al termine dei miei quattro mesi era stata acquistata l’attuale base scout “La Centralina” che aveva bisogno di qualcuno che la facesse partire e se ne prendesse cura. Quella fu l’occasione per continuare la mia esperienza in valle, contattai alcuni capi e iniziò il servizio di custode.

La nascita della base ha permesso un recupero dello stile delle attività scout in quei territori, che avevano subito un declino progressivo dopo la morte di Baden. Durante la fine degli anni ’90 infatti gli scout non erano più ben visti. Salivano molti clan, piantando le tende dove volevano… e alcuni clan non vivevano con rispetto quei luoghi, compromettendo l’immagine di tutta la “categoria”, tanto che i valligiani non amavano più questa convivenza.

Come detto, l’unico posto in cui si poteva andare in accantonamento a Codera nel periodo freddo era l’oratorio, uno stabile che fu affidato a Baden stesso. Venne chiuso anche quello, “approfittando” di una “infiltrazione” che – a quanto pare – ne comprometteva l’agibilità.

Quindi non si poteva più pernottare in accantonamento in inverno o in tenda in estate: si stava concretizzando l’esclusione dello scautismo dalla valle. Con la provvidenziale acquisizione della Centralina, si decise di provare a riconquistare il rispetto che lo scautismo aveva perso in quei luoghi.  Con un piccolo gruppo allora si decise di normare le attività. Ogni gruppo che voleva salire in valle doveva avvertire la fondazione cosicché ci fosse sempre un custode della base pronto ad accoglierli e a mediare il rapporto coi valligiani. Si decise inoltre che ogni gruppo che saliva doveva spendere almeno un’ora se non una giornata al servizio degli abitanti o della base stessa. Questo meccanismo virtuoso fu così apprezzato che successivamente furono gli stessi abitanti a proporci un’altra sede più alto ancora, in zona Bresciadega, di cui effettivamente si aveva l’esigenza. Era il vecchio caseificio, tra Bresciadega e il rifugio Brasca, di proprietà consortile e in disuso da molti anni, che venne concesso in comodato alla Fondazione Baden.  Nel 2010 fu rimesso a nuovo (grazie anche a dei finanziamenti regionali) e divenne  la base scout “La Casera” .

Considerate che la ripresa è stata tale che si calcola che oggi ogni anno transitano in valle mediamente duemila scouts. Per me la vera conquista fu riportare in valle i campi estivi di branca EG dopo dieci anni, nel 2011 (l’ultimo lo tenni proprio io, con il mio reparto, nel 2001). Un mio specifico servizio in questi anni è stato appunto quello di occuparmi della preparazione e dell’assistenza sul posto dei campi EG.

Tornando a parlare delle AR, hai avuto la possibilità di conoscerle?

Li conobbi di persona nel 2004, durante l’inaugurazione della Centralina. Invitammo tre AR ancora in vita: Don Giovanni Barbareschi, che  celebrò la Messa, Mario Isella e Carlo Verga, autore del libro “Le Aquile Randagie”.

Mario Isella portò con se un album fotografico contenente foto che ritraggono le attività clandestine vissute dal ’36 al ’45, di cui finora avevo solo letto. La cosa sorprendente fu scoprire un repertorio vastissimo, vi erano foto di ogni attività: campi estivi, campi di San Giorgio ecc. A quel punto chiesi a Mario Isella di poter scannerizzare tutte le foto. Durante questo lavoro diventammo amici, lui imparò persino a scrivere al pc, così da poter aggiungere le didascalie ad ogni foto che adesso potete trovare nel libro “Fedeli e Ribelli”.

Conoscere le ultime AR è stato ciò che ha fatto traboccare il vaso già ricolmo di passione per la loro storia. Quando incontri gente della loro età pensi che ciò che hanno vissuto appartiene al passato, invece no! Ho incontrato degli ultraottantenni con una passione per lo scautismo che mi ha lasciato senza parole.

Molti di loro, finita la “giungla silente” (ndr. nome con il quale si definisce il periodo dello scautismo clandestino) diedero vita al risorgimento dello scautismo, in particolare attraverso l’istituzione del primo campo scuola per capi a Colico. Kelly, Baden e di altri capi avevano il timore che dopo vent’anni di sospensione delle attività scout, comparissero per tutta la penisola numerosi gruppi scout fondati da chi lo scautismo per vent’anni non lo aveva vissuto, lo aveva vissuto vent’anni prima senza aggiornarsi o non era mai stato scout. Il timore era che nascessero gruppi con stile e metodo totalmente disomogenei tra di loro, legati alle personalità dei capi.

Le aquile randagie scrivono così nei loro testi: “Lo scautismo o rinasce così come noi lo abbiamo conservato e aggiornato o è meglio che non rinasca affatto”.

Se noi oggi possiamo vantare in Italia uno tra i migliori movimenti scout al mondo dal punto di vista delle intuizioni e del metodo, nonostante ci siano alcune eccezioni, è grazie a loro.

Tutta la riflessione metodologica e pedagogica che abbiamo in Italia, in paesi come ad esempio l’Inghilterra, che è la patria di Baden Powell e dello scautismo, non esiste.

Questa importanza che lo scautismo dà a certi valori e a certe attenzioni, viene dal duro lavoro che le aquile randagie – insieme ad altri eminenti capi – hanno profuso al momento della rinascita.

All’epoca per aprire un gruppo scout dovevi aver completato la formazione del campo di Colico, al quale accedevi solo dopo aver superato delle prove inerenti lo scautismo e la vita all’aperto. Successivamente fu istituito anche il campo scuola di Bracciano e così a piramide i nuovi gruppi che sorgevano avevano in sé le medesime caratteristiche, a Bolzano come a Palermo.

Tu hai iniziato a raccontare la storia delle AR durante i bivacchi dei campi in valle, quando hai pensato di utilizzare i social per questo servizio?

Pensate che consideravo facebook un’emanazione del demonio (ndr. lui ride e noi con lui), però mi sono accorto sbirciando alcune pagine che potevano essere un buon mezzo per trasmettere dei valori. Ho pensato che la storia delle AR, la val Codera e i loro valori, fosse un bel “pacchetto” di esperienze forti da proporre al mondo scout, in particolare dei capi ma anche degli RS.

La mia esperienza su facebook si limita all’utilizzo della pagina, senza usufruire di quelle che sono le attività del profilo, tant’è che il mio è totalmente vuoto.

Sono talmente tante le possibili suggestioni e provocazioni che si possono dare che ho trovato utile sperimentare. Avevo iniziato creando il sito aquilerandagie.it per poi passare alla pagina (il sito rimane un “deposito” di materiale, periodicamente implementato).

 

Che impatto pensi abbiano i tuoi contenuti sulle persone che seguono la pagina? 

Uno degli aspetti belli di internet è che tutto ciò che accade: contatti, accessi, commenti, likes ecc è quantificabile e verificabile. L’impatto lo vedo semplicemente dalle interazioni che hanno i vari contenuti che carico. Mi piace pensare che sia una pagina dove le persone possano trovare stimoli, proposte e provocazioni per uno scautismo di sostanza che si rifà a certe impostazioni dello scautismo delle AR, ma senza perdere l’attenzione all’aggiornamento e a come declinarlo al tempo odierno. È giusto rifarsi al passato in termini di valori e principi, ma è altrettanto giusto che ci sia un’aggiornamento degli strumenti e delle modalità.

Hai degli haters?

Più che altro dei troll, persone che commentano per provare a tirar fuori il peggio di chi discute in maniera costruttiva sotto ai post. Purtroppo c’è questo rischio di abbrutimento nel proporre contenuti a volte in maniera troppo provocatoria. Al momento non modero le discussioni, credo che una persona si qualifichi in base a ciò che scrive.

Devo ammettere comunque che mi piace provocare in maniera sana, un po’ come Baden che era un grande provocatore, ma non voglio peccare di presunzione. Nel mio piccolo mi piace fare il possibile per arginare il fenomeno dell’impoverimento della proposta scout.

 

Si conclude qui una splendida chiacchierata vissuta con Emanuele e la redazione di zona lo scorso anno. Emanuele è una persona davvero rara, testimonia l’amore per lo scautismo in modo diverso da quello a cui siamo solitamente abituati. Lo fa raccontando una storia tanto lontana quanto attuale, che oggi celebra settantacinque anni da quel famoso “giorno in più del fascismo”.

Lo ringrazio a nome personale per il suo Eccomi quando gli proposi questa intervista e di portare l’AR tour a Palermo. Penso anche di poter parlare a nome di tanti capi nel ringraziarlo per l’impegno che mette nel perpetuare la memoria delle Aquile Randagie.

Intervista a cura di

Alberto Di Franco – Capo del Palermo 1

Per approfondire i temi trattati durante questa chiacchierata puoi consultare i seguenti link:

La  pagina Fedeli e Ribelli gestita di Emanuele Locatelli: Fedeli e Ribelli

Il sito aquilerandagie.it dove trovi numerosi documenti inediti, tra cui le foto di Mario Isella nella sezione download: aquilerandagie.it

Le foto dell’inaugurazione della base scout La centralina 2004:  Inaugurazione Centralina 2004

Le foto dell’intervista e dell’AR tour a Palermo:  AR tour Palermo

Per approfondire la storia della formazione capi in Italia puoi consultare gratuitamente gli scritti di Piero Gavinelli ( ex capo scout d’Italia):

 La formazione capi nello scautismo italiano

–  Colico Campo Scuola

Qui trovi i libri citati e altri testi inerenti alla storia delle Aquile Randagie:

  • Le Aquile Randagie, Scautismo clandestino lombardo nel periodo della giungla silente – di Carlo Verga e Vittorio Cagnoni, ed. Nuova Fiordaliso;
  • Fedeli e ribelli. Diario fotografico dello scautismo clandestino monzese 1928-1945 – di Mario Isella ed Emanuele Locatelli, ed. Nuova Fiordaliso;

  • L’inverno e il rosaio, tracce di scautismo clandestino – AA.VV. Aquile Randagie, ed. Tipografia Piave;

  • Baden. Vita e pensiero di mons. Andrea Ghetti – di Vittorio Cagnoni, ed. Tipografia Piave;

  • Giulio Cesare Uccellini Kelly – di Vittorio Cagnoni, ed. Tipografia Piave;

  • I ragazzi della giungla silente (fumetto) – di Fabio Bigatti, ed. Tipografia Piave;

  • Chiamati a libertà, parole e testimonianze di una vita appassionata – di Don Giovanni Barbareschi, ed. In dialogo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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